sabato 20 novembre 2010

Fastidiosissimi mezzi di propagazione del seme

In questo periodo la maggior parte dei fiori sono ormai sfioriti, e i frutti delle piante son pronti a svolgere il loro ruolo: far crescere una nuova pianta.
Per non entrare in competizione con la pianta 'madre', i frutti devono poter esser portati lontano prima che il seme si interri: a tal scopo vengono usati un'infinità di stratagemmi; si può affidare il seme al vento, come fa la clematide, o coprire il seme di una polpa gustosa così che un animale lo mangi, depositandolo in seguito con le feci- aggiungendo così il bonus di un po' di letame fertilizzante!
Ma le strategie non si esauriscono di certo qui.
La Bidens bipinnata, conosciuta anche come forbicina, è una pianta della famiglia delle Asteraceae (o Compositae a seconda della moda scientifica del momento...) che cresce sui terreni poveri come i bordi delle strade, materiali di riporto e orti incolti che sviluppa un fusto alto fino ad un metro, dalle foglie bipinnate (da cui il nome della specie) e dai fiori a capolini di colore giallo.
Di solito le Asteracee sviluppano un'infruttescenza chiamata pappo: al seme è collegato una serie di filamenti sottili che gli permettono d'esser trasportato dal vento- un esempio noto a tutti ci è dato dal soffione.
Il seme della Bidens invece non usa il vento per farsi trasportare, ma la pelliccia degli animali! Chiunque porti a spasso il proprio cane lasciandolo libero di correre sui prati conoscerà bene questo fastidiosissimo stratagemma!

 
Per appiccicarsi al pelo (o anche ai lacci delle scarpe e alle felpe!) il seme, un achenio allungato di circa un centimetro, è dotato di due o tre piccoli arpioncini - da qui viene il nome del genere, Bi-dens = due denti.

 
Ognuno dei denti, chiamati reste, ha una serie di peli rigidi che funzionano come dei piccoli ganci.

Il capriolo, la volpe, il cane o anche l'uomo a cui si appiccicano tali semi li porterà con sè, distante dalla pianta che li ha creati, finchè magari con un urto o grattandosi per il fastidio (i semi punzecchiano un po'!) se ne libererà consegnandoli al terreno e permettendo così ad una nuova pianta di nascere.

venerdì 19 novembre 2010

La Cincia azzurra


Fra il giallo delle foglie autunnali e i rami neri si può vedere, con un po' di fortuna, un piccolo uccellino di un bel colore azzurro saltellare di ramo in ramo: la Cincia azzurra

Questo uccellino, chiamato anche Cinciarella (il nome scientifico è Parus caeruleus) non e più grande di una decina di centimetri, con il corpo affusolato e dai colori molto vivaci. La parte superiore della testa, le ali e la coda sono di un bel azzurro ceruleo, la testa presenta inoltre una mascherina bianca con una striscia nera orizzontale a livello dell'occhio, mentre il petto è di un vivo colore giallo.

Difficilmente si vedrà la Cinciarella sul terreno: si tratta di un animale molto vivace e agile che ama fare acrobazie fra i rami,  facilitata in questo dal suo corpo minuto e dalle sue zampette sottili (spesso la si vede, infatti, stare appesa a testa in giù fra i rametti!).

Ovviamente queste sue abilità "circensi" non vengono utilizzate per far colpo su noi esseri umani (anche se è davvero molto bello stare ad osservare questa agile bestiolina mentre si appende fra gli alberi) ma il suo principale scopo è quello di cercare il cibo. La Cincia azzurra è un uccello insettivoro e predilige bruchi, ragni, afidi e altri piccoli invertebrati che trova proprio lungo i rami e che cattura col suo piccolo e sottile becco.

A dispetto delle sue modeste dimensioni è un animale molto vorace e cattura moltissimi insetti durante il giorno, di conseguenza ha un ruolo importantissimo nel controllo delle popolazioni di invertebrati (la cosa può essere interessante anche dal punto di vista umano in quanto molte di queste sono di insetti nocivi o dannosi all'agricoltura).

In inverno, quando gli insetti sono scarsi, si accontenta anche di semi, bacche o frutta.

In febbraio-marzo comincia il periodo dell'accoppiamento: i maschi cantano più frequentemente in questo periodo e le femmine costruiscono il nido. Di solito vengono utilizzate cavità naturali come nidi di scoiattolo, nidi di altri uccelli, buchi nei muri ma non vengono disdegnate ovviamente cavità artificiali come cassette o casette per uccelli che la femmina riveste con muschio, lana, piume o qualsiasi materiale adatto. Vengono deposte in media 8-15 uova piccole, bianche con dei puntini scuri che vengono covate per circa 15 giorni. I pulcini vengono allevati da entrambi i genitori e lasciano il nido dopo 20 giorni circa ma visto che non sono ancora del tutto indipendenti, vengono accuditi dai genitori ancora per un paio di settimane.

Purtroppo nonostante le Cince siano animali abbastanza prolifici, i piccoli dovranno affrontare diverse difficoltà nel corso della loro vita: sfuggire ai numerosi predatori e soprattutto riuscire a superare i rigidi inverni.

Ma le Cinciarelle sono uccelli molto intraprendenti e molto ingegnosi! Durante l'inverno tendono ad avvicinarsi di più alle zone abitate dall'uomo e a "sfruttarlo" per trovare del cibo (è un ospite fisso delle mangiatoie per uccelli nelle quali trova una grande varietà di semi, frutta secca e sembra avere una predilezione particolare per i semi di girasole!).

Le Cince azzurre sono animali facili da vedere dalle nostre parti, benchè timidi, perchè sono uccelli stanziali in Italia (al limite compiono delle piccole migrazioni per trovare climi più miti dove la ricerca del cibo è più facile) e sono diffuso in tutta Europa.

Quindi provate un giorno a fare una passeggiata in un giardino, per i campi, in un bosco o semplicemente in un parco della vostra città, state in silenzio e guardate fra i rami di un albero e potreste vedere il nostro piccolo folletto azzurro che saltella allegramente a testa in giù.

domenica 7 novembre 2010

Furti e contratti

I rapporti che intercorrono fra i vari elementi di un ecosistema sono tutt'altro che idilliaci; fra una specie e l'altra non esistono cose come il mutuo rispetto o l'aiuto disinteressato. Se fra due specie non c'è un rapporto di predazione o un rapporto di competizione per il cibo la loro relazione sarà improntata sull'indifferenza.
La sopravvivenza di un individuo rappresenta la morte di un altro: una lince per vivere deve divorare una lepre, la lepre si nutre di erba e così via. Tuttavia in un ecosistema stabilito rimane un equilibrio costante fra le parti che lo compongono.

Anche fra pianta e pianta troviamo un riflesso di questa lotta quotidiana per la vita: un albero che cresce più degli altri ruberà la preziosa luce alle specie sulle quali le sue fronde getterà l'ombra.
Nella corsa verso la luce alcune specie si prendono una sorta di rivincita sugli alberi, scegliendo di non avere un fusto portante ma di utilizzarne uno esterno già presente: è il caso, ad esempio, dell'edera (Hedera helix).

Questo 'furto' del fusto è un rapporto di tipo parassitico; non nel senso stretto del termine - l'edera non succhia la linfa dell'albero come alcuni credono - ma in quanto se l'edera trae dall'albero un beneficio, il supporto, mentre l'albero ne ha in cambio una diminuzione della superficie esposta alla luce. Un'edera può arrivare a soffocare interamente un albero, coprendolo interamente e togliendogli del tutto la luce impedendogli la fotosintesi fino a portarlo alla morte.


L'edera stessa è vittima di un rapporto in cui solo una delle parti trae giovamento: la sua linfa floematica è infatti succhiata da varie specie di afidi, grazie al loro apparato boccale pungente e succhiante che ricorda un po' una siringa. Dalla linfa gli afidi traggono un nutrimento molto sostanzioso; l'edera invece subisce a causa di essi una notevole risorsa energetica.

Ma non sempre il beneficio di un rapporto va a discapito di una delle parti: è il caso delle cosiddette simbiosi, di cui proprio l'afide ci dà un noto esempio.


Su un'edera che cresce vicino ai laghetti delle mucille proprio ieri abbiamo visto un brulichio di formiche; non erano in cerca di semi o altro, ma si affaccendavano attorno agli afidi che si potevano trovare a piccoli gruppetti scostando le foglie.
Il tipo particolare di simbiosi che intercorre fra questi due insetti si chiama 'trofobiosi' - parola che deriva dal termine greco per 'cibo'.
Per le formiche gli afidi sono infatti quel che le mucche da latte possono esser per noi. Gli afidi producono come sostanza di scarto dei loro processi metabolici una sostanza altamente zuccherina, la melata, che per le formiche è un nutrimento ad alto apporto energetico.
La formica può indurre, con un tamburellare delle antenne sul corpo dell'afide, la produzione da parte di questo di una goccia di melata; la formica la lecca e la accumula nel suo corpo, per poi rigurgitarla una volta arrivata al formicaio, dove verrà conservata come riserva per la colonia.
In cambio di ciò l'afide ottiene dalle formiche una notevole protezione difensiva sia dai predatori, come la temibile coccinella, che dai parassiti che depongono in essi le uova come certi tipi di vespe e di mosche.
Addirittura una specie americana di formiche è usa portare gli afidi all'interno del formicaio nei mesi invernali, per permettere loro di sopravvivere ai rigori del freddo - proprio come un contadino che porta le sue bestie nella stalla!

giovedì 4 novembre 2010

Le danze degli storni

In questi giorni si radunano a centinaia gli storni (Sturnus Vulgaris), un piccolo uccello simile al merlo.
Formano stormi giganteschi, simile ad una nube danzante, il cui movimento ricorda quello che i banchi di certi pesci mettono in atto per fuggire e vanificare gli attacchi dei predatori.
Anche per gli storni la finalità delle loro acrobazie di gruppo è probabilmente la stessa: proteggersi dagli attacchi degli uccelli rapaci che vedono in questi assembramenti una buona occasione per un banchetto facile.
La cosa meravigliosa resta la maniera in cui il volo di ogni singolo uccello si sommi a formare quello che è il movimento organico dello stormo, che visto da lontano sembra un'essere unico dotato di una sua volontà.
Giunta la sera gli storni si posano, sempre in gruppo, in luoghi elevati e protetti per passare la notte come rami di alberi o i più moderni tralicci dell'alta tensione.
Per fortuna in Italia questa bella bestiola è ben protetta dalla legge; lo storno si salva così sia dal risentimento del contadino che vede il suo campo predato dal vorace uccellino, sia dalla sportività del cacciatore allettato dalla difficile sfida di sparare ad uno stormo gigantesco di ferocissimi storni.
Lo storno si raduna in grandi gruppi per muoversi: non è propriamente un uccello migratore ma si muove comunque su distanze ridotte per sfuggire i rigori invernali del nord.
Infatti in estate lo storno non nidifica nell'Italia meridionale; da noi invece si trova anche nelle stagioni calde e specialmente in primavera si può udire il suo verso molto riconoscibile: un fischio lungo che parte da un tono basso fino a diventare molto acuto.
Oltre a fischiare, per far colpo sulle donne il maschio dello storno si veste in primavera con una livrea elegantissima e colorata, come si può vedere in questa foto scattata presso il parco del castello di Miramare, vera e propria oasi in cui molte specie di uccelli trovano riposo e protezione:
Se da lontano lo storno può sembrare somigliante al merlo, da vicino non si può fare a meno di notarne i colori vivaci agitati dalla ticchiolatura bianca; una divisa che potrebbe competere con i più blasonati uccelli tropicali!

-aggiornamento del 10.11.2010:
grazie al babbo è disponibile un filmato di uno stormo in volo sopra Monfalcone!



lunedì 1 novembre 2010

Note di rosso

In queste giornate in cui l'autunno si esprime attraverso il grigio della pioggia e delle nuvole, si sente il bisogno di compensare con il calore, accendendo il fuoco nei caminetti per riposarvi davanti - magari con un forte bicchiere di vino in mano.

Ma anche nella natura possiamo trovare questa ricerca dei colori caldi: l'altra settimana, camminando sulla stradina che attraversa il carso sopra Selz, ci ha scaldato il cuore con le sfumature più belle che la natura sa offrirci in questi mesi.

In questi giorni la vite americana (Parthenocissus quinquefolia) si spoglia del suo verde per avvampare con una gamma di colori che va dal rosso più vivo ad un caldissimo e cupo amaranto.

Come ci ricorda il nome stesso, questa pianta è originaria del Nord America, dalla quale è stata importata a scopo principalmente ornamentale. Probabilmente è giunta qui sul carso assieme a masserizie o materiale di riporto gettato via in questi luoghi molti anni fa; il clima ed il terreno sono particolarmente adatti alla crescita di questa pianta, che di suo è molto adattabile ed ha una vitalità e resistenza che la rende quasi infestante. Come la nostra edera può infatti giungere a soffocare il malcapitato albero che gli fa da supporto.

 

Un' altra pianta che rosseggia sanguigna fra le grigie rocce del carso è lo scotano (Cotinus coggygria), che qui viene chiamata la 'foiarola'. Un tempo arbusti come questi circondavano le grosse foreste di querce che crescevano sulle nostre terre, ma l'influsso antropico - iniziato già con il taglio degli alberi all'epoca dei castellieri - ha diminuito progressivamente l'estensione delle foreste lasciando il terreno ideale all'espansione della boscaglia carsica.
Anche lo scotano cresce bene fra i sassi del carso, ed il suo legno ha un'aroma inconfondibile dato dalla resina che lo intride.


Non sono solo le foglie ad arrossarsi: il frutto della Rosa canina matura proprio ora ed è in questi giorni che è pronto per esser raccolto. Nel dialetto del luogo viene chiamato 'spissacul' - forse per la peluria degli acheni interni che giocava strani scherzi alle terga a chi peccava di imperizia nel toglierla prima di mangiarli - o 'stropacul' - probabilmente a causa della vitamina C e dei tannini che questo frutto contiene.
Per queste sue virtù i frutti della rosa canina sono spesso usati per fare tisane, dalle proprietà astringenti ed antibatteriche, ma anche grappe e persino marmellate.


Un altro frutto rosso che abbellisce l'autunno è il biancospino (Crataegus monogyna), altro tipico rappresentante della boscaglia carsica. Le sue drupe vengono usate principalmente come cardiotonico, ma anche come astringente per i tannini che contiene in quantità elevata.


Forse è per essere intonata a questa sinfonia di colori caldi che questa cavalletta, che la scorsa settimana riposava sulla nostra cassetta delle lettere, s'è vestita con uno squillante arancione?